lunedì 6 aprile 2009

A più di un anno dall'assegnazione dell'Expo

E' passato poco più di un anno da quando Milano e l'Italia ha conquistato l'Expo. E il ballo indecoroso sulle poltrone della società che dovrebbe governare l'investimento non è ancora finito. Anzi, assistiamo persino a qualche scadimento polemico sui compensi degli amministratori e sulle pregiudiziali personali: basti pensare a Paolo Glisenti, passato in un anno da grande regista della vittoria milanese a capro espiatorio di ogni male.
La nostra delusione non è provocata dallo scontro politico tra diverse concezioni dell'Expo. Quello che è sembrato vincente nel Dossier di candidatura e quello che si sta facendo faticosamente strada tra le ristrettezze dei bilanci di crisi oggi. Quello che il sindaco Letizia Moratti cerca di ricondurre al titolo (“nutrire il Pianeta ed energia per la vita”) e che descrive come un grande evento culturale capace di unire i popoli della terra nell'anno target delle sfide del millennio. E quello che il ministro Castelli ha esemplificato bene in una recente trasmissione televisiva, come una grande scusa per costruire grandi infrastrutture (sottinteso autostradali). E così l'Expo che doveva costare 4 miliardi (di metropolitane e un piccolo quartiere modello), oggi ne costa 14 con tre autostrade. Come se la crisi di oggi necessitasse di risposte statali come quelle degli anni Cinquanta.
Anzi, se di scontro culturale si trattasse, ci sentiremmo a nostro agio. Avremmo la nostra da dire, sapremmo da che parte stare. Se il problema fosse oggi chi rappresenta Milano e, soprattutto, cosa vuole Milano dall'Expo mentre il sindaco, ad un anno dai trionfo di Parigi, deve nominare il suo unico rappresentante nella società di gestione, avremmo molto da dire: come, ad esempio, si fa a costruire una nuova città sostenibile, culturalmente ricca e quindi solidale, accogliente e quindi orgogliosa, capace di un nuovo equilibrio territoriale con il circondario agricolo, esempio per le altre città e paesi in Italia e nel mondo. Come sta riuscendo a molte altre capitali d'Europa. Con la scusa dell'Expo si può fare tutto questo. Si può fare Milano capitale della sostenibilità ambientale.
Se invece Milano (e l'Italia) si presenterà con il cappello in mano ad un vertice di partito, per implorare qualche esponente politico a pigliarsi la “grana” Expo, per amministrare un po' di cantieri, contesi tra imprese e malavita, allora noi associazioni cosa possiamo c'entrare? Niente. E non vogliamo proprio c'entrarci niente.
Ecco perché questo è l'ultimo appello. Alla classe dirigente milanese e lombarda e al Sindaco di Milano in particolare, che ci chiese al tempo del dossier di candidatura la disponibilità ad una partnership.
Con Libera abbiamo chiesto forme di partecipazione e sensibilizzazione alla cultura della legalità e controllo delle infiltrazioni mafiose. Insieme ad altre associazioni, una trentina, ambientaliste e non, insieme alle organizzazioni non governative italiane impegnate nella cooperazione in tutto il mondo abbiamo chiesto una cosa precisa e ora pretendiamo una risposta altrettanto precisa. Abbiamo chiesto di costituire al più presto il Centro per lo sviluppo sostenibile che deve prendere il posto della torre – grattacielo nel quartiere espositivo. Abbiamo chiesto di creare subito la Casa delle associazioni che, come a Saragoza, possa divenire l'occasione di partecipazione, incontro e scambio della società civile del territorio con i popoli della terra che verranno a Milano nel 2015. Abbiamo chiesto un crescendo di appuntamenti e scambi internazionali che porti davvero l'Expo a divenire la grande assemblea dei popoli della terra in occasione del dibattito Onu sulle sfide del Millennio che si terra in quei mesi tra 6 anni. Abbiamo chiesto di ritrovare lo “spirito” dell'Expo richiamato persino dal Cardinale di Milano, Luigi Tettamanzi, per richiamare l'attenzione sugli ultimi tra i cittadini di Milano, perché anche loro in questi anni di crisi devono sentire che l'Expo può rappresentare una risposta.
Con umiltà e fermezza. Umiltà perché non saranno mai le associazioni e le ONG da sole a fare l'Expo. Ma anche con fermezza, perché in questo anno di mancate risposte e di risse si sta erodendo la fiducia. In quest'anno, tutto e tutti hanno potuto usare l'Expo per ideale o per interesse, per bieco vantaggio o per slancio generoso. Ora la crisi impone, anche a noi, una scelta radicale. Insomma quella disponibilità, ormai non più solo nostra, a sviluppare partnership con Milano Expo chiede risposte chiare e concrete, in mancanza delle quali, ognuno proseguirà per la sua strada, noi ad occuparci di alimentare il mondo e sviluppare energie rinnovabili, altri a costruire autostrade. E vedremo quanti dei 29 milioni di visitatori verranno a percorrere.

1 commento:

  1. UN DIALOGO CONCRETO
    L'appello apparso questa mattina sul Corriere della Sera "Expo, ultimo appello per dare una mano" sottolinea un aspetto importante: l'unico modo per far si che nel 2015 non si sia costretti ad assitere ad una versione ridotta dell'Expo o, peggio, a constatare che è stata un'occasione persa, è quella di coinvolgere i soggetti che realmente rappresentano il cuore della manifestazione. Le associazioni e tutte le realtà del terzo settore e della società civile che sono la garanzia di un processo di costruzione dell'Expo che parta dal basso e coinvolga realmente la città, i cittadini nella fase di costruzione di questo grande progetto. Il rischio, infatti, che i processi decisionali escludano i "destinatari" dell'evento, trasformandoli in meri spettatori, è forte. Ancora di più è imminente il rischio di assistere a grandi speculazioni, non sempre limpide, che poco hanno a che fare con il tema centrale contenuto nel dossier di candidatura. è su quel tema che è stata costruita e proprio e, forse, solo grazie ad esso che Milano si è imposta sulle concorrenti. Per la capacità che questo tema ha di evocare prospettive di ampio respiro che non iniziano e finiscono con l'orizzonte ristretto delle piccole dispute cittadine. Ma che lanciano la nostra città in una dimensione internazionale, mondiale, come capofila di un progetto e di un'azione rivolta anche a chi vive in condizioni di disagio. è, questo, il modello di sviluppo sostenibile che potrebbe fare di Milano una vera capitale mondiale, non solo degli affari ma anche della solidarietà. Per azzardare anche prospettive più ardite, con un po' di coraggio, se l'Expo rispettasse veramente i principi contenuti nel dossier, Milano potrebbe persino candidarsi a rappresentare agli occhi del mondo un nuovo modello di sviluppo, un new deal che coniuga le istanze più urgenti dei prossimi anni, ispirandosi a quella "green economy" che non sarebbe più di sola esclusiva del nuovo corso della politica obamaniana. Ma, di sicuro, perchè questi orizzonti possano non solo realizzarsi ma anche solo essere pensati, è fondamentale che gli attori che ne impersonano l'essenza vera ne siano coinvolti. Non in un vago futuro ma hic et nunc. Adesso o mai più. Non deve essere, questo, un appello di parte e settario. Ma un dialogo anche con tutti i soggetti che hanno mostrato e mostrao interesse in questo processo, in questo dialogo, in questo viaggio. Tutti. Nelle rispettive differenze culturali, politiche e progettuali, senza facili ed inutili sincretismi. Ma il dialogo è condizione necessaria perchè la promessa del Commissario Straordinario di dedicare al dialogo e al coinvolgimento delle associazioni un ruolo di primo piano nella costruzione di ciò che sarà l'Expo non resti soltanto un esercizio verbale di buone maniere. O peggio, che non sia un dividi et impera che gioverebbe solo a chi immagina l'Expo come la più grande speculazione del secolo.

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